Where is your human nature? - Capitolo IV, L'orchestra dei segugi danzanti

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KuchikiRukia ~
view post Posted on 8/4/2013, 13:22





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Psycho Pass - Where is your human nature? - Capitolo IV - L'orchestra dei segugi danzanti



La diurna volta celeste si punteggiava di ingenti nubi; gonfie, corpulente, striscianti nella loro compatta fraternità, nel percorso aereo che trainava faticosamente una sorta di controversa indignazione. Colme di arsenico quanto di vivaci espressioni lampanti, colme di una storpiata naturalezza quanto di una docile congettura. La lastre di vetro parevano inclinarsi al sibilo acuto che accompagnava il vento in una straziante corsa invadente, frantumando il delicato silenzio epidermico di un sonno sormontato dal macigno cremisi della coscienza. Denudava quei vuoti spazi decoloratori d’infinito, disseminava aghi feritori che schernivano rabbiosamente la loro invisibilità tangibile, violentando gli atomi contorsionisti di quell’incombente assenza. La flebile luce esalava un deceduto dinamismo che si imbatteva su quei grigiastri pavimenti dalle scure e tortuose scanalature. Ambiva al possedimento dell’edificio prolungando i suoi arti luminosi, quanto alla sua conoscenza; negata dai nuvolosi filtri che si erigevano a barriera insormontabile, plasmandosi in materia imperatrice dell’ombra di quel pianeta abissale. Le mura in pietra partorivano un’atmosfera di remote e taciturne epoche feudali, mostrando l’arte della spada nella sua forma più concreta e materiale: una katana dalla tsuba* argentea che pareva risalire ad un aureo passato gettato con ribrezzo in un paludoso dimenticatoio. Eppure quello sporadico splendore permaneva incondizionatamente; vigoroso, aitante, sfavillante, pericoloso. Catturò le iridi ambrate che si apprestavano ad osservare lo spazio circostante da quelle palpebre dischiusesi in un risveglio solerte. Le sottili coperte delineavano la sagoma snella del criminale asintomatico, il cui viso marmoreo si scioglieva dalla morsa dell’immobilità notturna nella manifestazione di un ottimismo promettente.
Sybil agiva. I segugi della polizia affondavano i propri denti nei solitari angoli di Tokyo, nelle viscere di una turbolenta metropoli scossa dal rombo stordente di un crimine silente che induceva i pilastri sociali al marasma della precarietà. Paura. Si disseminava impulsivamente nel tentativo di proporre un’esplosione di anime in combustione. Makishima Shogo avrebbe contrapposto a quei denti insolenti la lama della propria risolutezza.
Il corpo si sollevò in un elastico movimento che generò un’inaudita armonia, sino a produrre un gentil suono che con veemente eleganza si propagava inudibilmente. Con passo aggraziato, Shogo si diresse ai fornelli, ove ebbe il tempo di assaporare del tè verde raffinato, dal sapore tanto acre quanto gradevole; un’estasiante fragranza da cui avrebbe tratto una moderata piacevolezza. Il calore si propagò sulle labbra, fatalmente, giungendo all’intimità di una mente che reagì con un drastico sussulto appiccando un irrefrenabile fuoco di incontaminate aspirazioni, disfattesi della depravazione umana, dell’impenitenza, dell’imprevidenza, dell’incontenibilità.
Un’epoca in cui l’industria cibernetica ha sostituito l’espressività dell’animo umano, un’epoca in cui l’uomo si accosta all’androide, emulandolo nella privazione della propria empatia. Philip K. Dick è giunto all’essenza di questo menzognero paradiso di meccanizzazione dell’umanità, di fantomatiche proclamazioni di un libero arbitrio violentato nel suo profondo concetto, di collettività indotte alla solitudine del sentirsi autosufficienti, privati di legami che risultano ormai inconcludenti. Il miserevole comportamento del sistema Sybil, mpf. Manipolatore a tal punto da disintegrare l’arte del libero pensiero.
Ripose l’esigua ciotola sulla rigida piattaforma marmorea con una distinta finezza aristocratica che pareva adornare l’ambiente di incorporee e fulve decorazioni floreali dalla natura rasserenante. Flesse le ginocchia slanciando in un’accurata danza il gracile arto destro superiore che con soffice inflessibilità catturò la bluastra copertina contenitrice di mondi paralleli, di dubbi cibernetici dalla natura fuorviante quanto necessaria. Il cacciatore di androidi demoliva con prepotenza la fonte dell’incertezza di quel suo afflitto spirito sospeso, tentennante. Shogo inserì nobilmente l’indice tra quelle spesse pagine che dettavano con rilevanza il gioco realistico dell’umano equilibro instabile, spingendosi in un valico interno che si aprì in un’inesauribile distesa di grano ove verdi filamenti erbosi pullulavano cospicui. Scivolò con grazia sulla culla che la natura gli offriva prodigalmente, lasciando che il vento trasportasse agilmente quei lattei capelli e slittasse titubante su quella levigata pelle che si apprestava ad emanare un’esultanza profondamente distorta. Serrò le palpebre, assaporando l’aspro aroma di quell’erba parzialmente umida che si diramava selvaggiamente nell’esaltazione della sua libera condizione. Lacerare quei fusti non avrebbe intralciato quella crescita interminabile, non ne avrebbe concepito il decesso né il dissolvimento. Disserrò gli occhi, conducendo le sue scrupolose pupille ad osservare quelle parole meccaniche che defluivano scure e con sottigliezza su quelle pagine biancastre che si attorcigliavano alle sue esili dita. Una gioviale scossetta elettrica, trasmessa dalla sveglia automatica incorporata del modulatore d’umore che si trovava vicino al letto…
In lontananza, passi discreti avanzavano verso la minuta figura di Shogo con accennata esitazione, inducendo quest’ultimo a voltarsi in un repentino gesto scosso dal sinistro e distante ticchettio straniero.


—Uh?
—Mh, salve. La disturbo?
La sagoma avanzò, rivelando il corpo di uomo di media statura, i cui limati capelli castani scivolavano arrogantemente su quegli occhi bicolore, ocra e paonazzi. Sul ruvido volto, giovani rughe accompagnavano le esauste borse di un passato presumibilmente turbolento.
— No, prego. Si accomodi. E’ sempre piacevole dialogare con qualcuno,— acconsentì Shogo. Concepì un docile e fugace sorriso, congiungendo tra loro i compatti fogli di quel libro dal colore bluastro che ripose sui piacevoli filamenti erbosi con un morbido gesto.
— Dipende dall’argomento su cui esso ruota,— pronunciò con fare sarcastico l’individuo dagli occhi paonazzi. —Lei abita nei paraggi?
Si collocò al fianco dell’asintomatico criminale, scivolando sul grano che il vento trasportava delicatamente.
— Sì, qui accanto. Per quale motivo me lo ha chiesto?— lo interrogò perplesso Shogo con impercettibile e lieve irritazione.
— Sarò probabilmente il suo nuovo vicino. Sempre non le dispiaccia,—proseguì il ragazzo in un ghigno ilare che increspò quelle labbra sottili.
—Oh, no. Assolutamente.
— Il mio nome è Choe Gu-Sung. Piacere di conoscerla.
Chinò il capo sino ad originare un inchino così indeformabile quanto schematico che lasciò oscillare l’aguzza cerniera della scura giacca in pelle che Choe indossava.
— Signor Gu-Sung, il piacere è mio, totalmente,- sorrise austeramente Shogo. — Uhm, lei è straniero. Coreano?
— Sì, sono giunto in Giappone per dei particolari interessi,- annuì.
— Oh, comprendo. Che genere di interessi, signor Gu-Sung? Sempre lei voglia parlarne.
— Interessi informatici, che infondo credo abbiano qualche genere di affinità con il libro che ha tra le mani, signor…?
Choe Individuò l’oggetto con lo sguardo, indicando nebulosamente quelle gaie lettere che emergevano sgargianti sull’involucro cobalto dal volto femminile di un cyborg.
— Shogo. Makishima Shogo. Affinità ha detto? Lo ha letto? – rispose Shogo allettato, attratto dal dialogo che era in procinto di giungere ad un’argomentazione di carattere letterario, filosofico; appetibile.
— No, non ho avuto questa occasione. Ma ho visionato il film con profondo interesse.
— Cosa ne pensa?
Si afferrò i lattei capelli che sofficemente spostò dietro la spalla, denudando quelle miracolose e lunghe dita che nella propria delicatezza si aggregavano al vento, indistinguibili.
— Che racchiuda in sé un notevole significato. L’uomo può giungere alla propria natura senza disfarsi di quelle emozioni e di quella ragione che lo definiscono, senza equipararsi ad alcun essere, che sia un androide o qualunque altro individuo. Non crede?
Choe cercò la risposta nello sguardo dell’assiduo lettore, pazientemente, intrecciando le dita in un gesto di attesa.
— Ah. Ottima risposta,— rise Shogo carismatico. —Gli animi dormienti possono essere scossi, svegliati. Come pensa che essi si possano riesumare? Con la paura, signor Choe Gu Sung. La paura è un mezzo capace di testarli, scuoterli a tal punto da indurli alla loro massima espressione.
Il tono vocale, elevatosi, fu capace di scandire quelle aspre parole che si imponevano nel dialogo con pungente severità.
—Senguuji Toyoshisa. Mi ha condotto qui da lei.
—Uh? – si voltò, colto in evidente sprovvista.
— A quanto pare il suo consiglio non è stato vano. Il signor Senguuji mi ha affidato a lei per una stretta collaborazione. Il mio interesse risiede nella destabilizzazione del sistema Sybil tramite una metodologia di analisi software e l’utilizzo di un sistema di hacking.
— Dunque è il sistema Sybil che l’ha spinta in Giappone?
—Sì, in primo luogo. In secondo luogo, la guerra che attualmente attanaglia la Corea ha supportato questa mia decisione. D’altronde, l’impiego da militare come sabotatore ed esperto di guerra elettrica mi aveva letteralmente stancato. Sento di voler fare dell’altro, non come schiavo di un’inutile guerra d’armi, bensì come uomo libero,— concluse Choe con la rilevante determinazione di agire nella totale spontaneità, di perseguire quell’indole naturale che la lotta ostile del proprio Paese natale gli aveva barbaramente sottratto.
— Sia libero di agire come più le aggrada, signor Choe-Gu Sung.
Un sorriso di menzognera malizia apparve possente, persistente, perpetuo, sotto quegli occhi che si apprestavano a dischiudere le porte di una festa danzante ch’egli avrebbe liberamente orchestrato.


05 Marzo 2107 — Tokyo, Chiyoda-ku – Criminal Investigation Department



La prefettura di Chiyoda-ku sprofondava quotidianamente in un insaziabile tumulto grigiastro, nutrito dal fragore scrosciante di automobili che impregnavano perfidamente l’aere di moderni veleni. Luci sparse attiravano avidamente quegli sguardi umani che inciampavano abitualmente sui rigidi marciapiedi accostati alle alterate vetrine carnefici, generando un durevole flusso di movimenti meccanici accolti da spiagge aride, laddove un’illusoria immagine li aveva lietamente condotti. Gli immani teleschermi che si affacciavano sugli imponenti grattacieli proclamavano con destrezza annunci contraffatti dall’abile utilizzo delle parole nella soddisfazione dei celati interessi del sistema Sybil, concependo inconsapevoli sorrisi che abbracciavano benevolmente un roseo inganno. Sul viale principale della caotica prefettura, si sporgeva un edificio prominente dalla bruna colorazione che costituiva il temuto Dipartimento d’Investigazione Criminale al cui pian terreno alloggiava la Divisione 1 nell’accumulo di incessanti scartoffie dai rilevanti contenuti che brandivano la tematica della pubblica sicurezza, rilasciate dal capo d’Ufficio di Presidenza Kasei Joshu.
Mitsuru Sasayama si dondolava instancabilmente su quella modesta poltrona a rotelle che scivolava nervosamente dinnanzi quello schermo acceso, ghermendo una spessa sigaretta che stringeva fiaccamente tra i denti. Gli occhi, contrariati, si spingevano a dipingere un’incessante ricerca informatica di documenti correlabili all’uccisore di un noto banchiere giapponese, il cui nominativo si celava nella più densa nebbia a cui iridi insanabilmente corrose dall’acido potevano accostarsi.


— Kogami, qui non si trova un cazzo! Da dove diavolo dovrei iniziare?! – blaterò Mitsuru infastidito, trascinando il capo alla spalliera, la quale rischiò di cedere a quello scatto improvviso. — Ahh, mi prendo un caffè.
Sollevò il corpo con fare disattento, afferrando brutalmente l’elettrodomestico adibito alla preparazione delle bevande calde.
— Sasayama, in questo modo non concluderai un bel niente! Dovresti smetterla con quei caffè e con quelle sigarette, ti rendono soltanto più nervoso. E sarebbe preferibile che tu alzassi quel culo e ti muovessi un po’! — gli ripose Shinya con un cenno di dissenso, contenuto in quelle sopracciglia che argute si corrugavano inasprite.
— Diamine, Kogami, neppure il tempo di un caffè. Sei una palla! Per questo le ragazze ti evitano!
— Abbiamo altre cose a cui pensare, Enforcer.
— Oh, come sei serio! Vorrai mica farmi la predica come se fossi la mia mammina? – lo stuzzicò con tono burlesco ed un comico sguardo che racchiudeva in sé un’evidente provocazione.
— Taci, Sasayama! – Shinya strinse i pugni nell’istante in cui quella limitata pazienza parve dissolversi irrimediabilmente. La represse forzatamente, con flebile successo.
— Brontolone! — sbuffò altezzoso Mitsuru.
— L’ispettore Ginoza sarà presto qui. Abbiamo ricevuto il rapporto dal capo; ci ha concesso l’apertura dell’investigazione.
— Ah, che scocciatura. Dobbiamo andare proprio adesso?
— Non controbattere e datti una mossa. Sei un Enforcer!
Quell’inasprimento che Shinya emanava di consueto non era altro che un severo tentativo di spronarlo ad agire audacemente; un’audacia che pareva traviata da infantili capricci incontenibili.
Dopotutto, Mitsuru Sasayama possedeva un certo innegabile carisma spietato, farsesco. La Divisione 1 giovava integralmente di quella gradevole presenza che pareva districare ed attenuare un’austerità giornalmente opprimente.
— Kogami, allenta la presa. Lascialo respirare,— aggiunse brioso Totomi, con la sporca voce di un vecchio pervaso dalla lungimiranza che le cicatrici del tempo gli avevano perennemente affidato.
Masaoka Totomi si adagiava nel distante angolo collocato laddove l’edificio si occludeva in una ristretta struttura muraria. Sollecitava arrendevolmente tra le sue grinzose dita una biro sottile, la cui minuzia contrastava la possanza fisica del cinquantenne.
— Credo lo abbia fatto già abbastanza.
Shinya si sollevò severamente dalla poltrona e consultò scrupolosamente i dati correlati al caso inviategli dal capo sull’ologramma da polso.
— Fortuna che qualcuno prenda le mie difese!
Mitsuru si concesse un umoristico respiro di conforto, lasciando che le braccia si arrendessero consolatamente alla gravità, coinvolgendo le spalle in un naturale atteggiamento posturale.
— Hey, questo non ti concede che tu possa approfittarne, Sasayama, — borbottò Totomi con affilata ironia.
Non vi era istante in cui il CID* potesse godere della totalità del silenzio, eppure non vi erano ostilità che pullulassero incontrastate, non vi era dispregio che potesse scalfire quell’intimo gioco poliziesco dagli artigli diligenti. Quelle dita, quei corpi, quelle menti, si intrecciavano affannosamente in un unico gesto che perseguiva un percorso unilaterale: il tanto ambito e tortuoso itinerario della giustizia.
In un gesto repentino, la figura dell’Ispettore Ginoza Nobuchika valicò la soglia dell’ingresso con fare autoritario, il cui volto impregnato di zelo tentava di scostarsi da quell’urticante sagoma paterna nel forsennato tentativo di preservare un’instabile emotività. Quell’inflessibile quanto fragile tono vocale alludeva ad un cenno d’inutile prevaricazione ch’egli eseguiva unicamente nella sua parzialità.
— Ispettore Kogami, possiamo partire! Il capo ci ha dato l’ok. Apprestatevi personalmente a portare i Dominators nel furgone; il servizio Droni è attualmente inaccessibile.-
I Detectives e gli Enforcers si apprestarono in uno schematico movimento ad assumere una rigida posizione che li condusse con fervore verso l’uscita.
—Ricevuto, Ispettore Ginoza,— risposero all’unisono.
Sybil agiva; e i suoi devoti segugi si addentravano volitivi nel sanguinario scenario planetario plasmato dall’irriverenza fuorviante di un padrone silentemente brutale.



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Note:
Tsuba - Guardia spada giapponese.
CID - Dipartimento d'Investigazione Criminale.

 
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-Kurosaki-Ichigo-
view post Posted on 8/4/2013, 13:29




Mi limito a dire che conosci già il mio commento! >_>
Fantastica, boke!
 
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1 replies since 8/4/2013, 13:22   13 views
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