Where is your human nature? - Capitolo V, La scintilla della camelia purpurea

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KuchikiRukia ~
view post Posted on 25/4/2013, 09:28





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Psycho Pass - Where is your human nature? - Capitolo V - La scintilla della camelia purpurea



I tiepidi terreni metropolitani del perpetuo focolare deleterio di Takinogawa si affacciavano austeri a quei cieli grigiastri deturpati dalle nebbie di una natura esitante. Il fiacco colore delle superfici stradali si rifletteva sugli umani volti cinerei che i sospiri paonazzi della serena indifferenza vestivano con robotico spessore. Quegli affilati e argentei denti meccanici si cibavano degli interni universi che i corpi degenerati esiliavano con riluttanza. I droni. Gli occhi di Sybil, le tossiche vernici che trasmutavano i colori degli spazi antropici riducendoli in macerie addomesticate;l’onniveggenza del sistema.
Lastre di metallo dagli spigoli indiscreti sovrastavano le verdi superfici che celle ermetiche delimitavano con aerea tirannia, erigendo le invalicabili barriere dell’etereo supplizio dal cannibale appetito. Le attese, i sospiri, i silenzi. Taciti gemiti imploravano una fuga, un’emancipazione, e membra corrotte si avvinghiavano ai carnefici costruttori con perpetua adulazione. Idolatria, supremi affidamenti, immaginarie fratellanze. Sybil contemplava e agognava vuoti privi di obiezioni, li esaltava, generava assensi di plastica.Osservava. Vi osserva. Plasmava, ingannava, negava, acconsentiva. Si ergeva con cautela sulle vette di un’allucinazione paradisiaca dal retroscena infernale, fabbricando illusioni; illusioni di superficiali esistenze che flebili correnti d’aria avrebbero abilmente dissolto. L’occhio del sistema elaborava meticolosamente le quotidiane razioni di felicità, le giornaliere razioni di fittizio amore che accudiva gli uomini in un miraggio e li distoglieva dall’universo del ventre, sfasciando enigmi vitali e vomiti emozionali. I bulbi oculari della sorveglianza sociale si insidiavano nell’impercettibilità delle molecole, nella sottigliezza degli atomi, nelle viscere di minuscoli pianeti dalle carni condiscendenti. I Droni perlustravano, ispezionavano, decodificavano gli umani flussi emotivi traendone un giudizio, una colorazione, una condanna, nell’innocenza di quell’aspetto tinteggiato di sgargianti colori e lineamenti allegramente puerili.
La Wakada Industries dirigeva l’orchestra meccanica dei nervi elettrici , partoriva insaziabilmente androidi antropomorfi d’innocuità brutale, di taciturna e incorporea ingerenza. Le esterne lamine metalliche ne custodivano il fulcro, laddove la fabbrica dei replicanti scintillava con gesta monotone tra i nerastri congegni del futuro. Uomini dai volti stanchi e dalle dita rugose si apprestavano severamente a condurre gli immani blocchi dei materiali di produzione in una processione di replicate mute cobalto dagli automatici movimenti; uniformi, ossessivi. I miti venti autunnali contrastavano delicatamente le ridette azioni dei funzionari, che disfattisi di ogni sforzo, avanzavano all’interno della struttura con un’ostinata andatura. Aldilà dell’edificio, una superficie concava di largo spessore che la flora padroneggiava selvaggiamente ospitava un furgone biancastro, sui cui sportelli erano incisi dei simboli sfocati, parzialmente rimossi. All’interno del trasporto, Choe Gu-Sung impugnava saldamente il ruvido volante che superficialmente pareva scalfire quelle sottili quanto deturpate pelli padrone, e con sguardo assottigliato scrutava l’esterno silenzio che dipingeva il tumultuoso distretto industriale di Takinogawa. Il vitreo scenario si poggiava su fiamme che il vento crudelmente alimentava nel tentativo di ridurre l’invalicabile muraglia dell’odio ad un barbaro squarcio smarrito. Disperso, solo. Makishima Shogo siedeva nobilmente negli interni della vettura che le lattee dita carezzavano arrendevolmente; di una cedevolezza tale da renderle capaci di contrastare l’inflessibile ed austera presenza del criminale asintomatico dallo sguardo aureo. Le labbra marmoree si increspavano in un’ironica quanto severa espressione di letizia che la nobile inclinazione alla spontanea crudeltà concepiva con disinvoltura. L’esaltazione dell’animo umano nella propria crudeltà, l’esplosione umana della brutalità scaturita dal desiderio di un libero arbitrio. Siamo bambini. Siate come i bambini, puri, coraggiosi. “Non ci sarà mai un’ultima rivoluzione, le rivoluzioni sono senza fine.”*

Makishima-san, è arrivato il momento di agire. L’esterno sembra essere libero; niente sguardi scomodi. Tutti i funzionari sono all’interno della struttura, — proferì Choe rigoroso, lasciando che il repentino movimento scostasse la ciocca bruna che perennemente si stanziava dinanzi al suo volto.
— Preparati, Choe Gu-Sung. Le fiamme attendono il nostro avvento, —si espresse Shogo offrendo al tempo la cauta voce della sua stabile imperturbabilità.
— Credo di essere abbastanza determinato per esaudire questo mio distorto desiderio. Sono pronto, Makishima-san.
— Dobbiamo essere prudenti. Il sistema Sybil non è capace di visualizzare la nostra colorazione, ma detiene mezzi abbastanza sofisticati da giungere velocemente nel luogo tramite i suoi segugi.
— Prudenza e pazienza sono ormai termini che compongono e comprendono la mia mente. La guerra in Corea ne aveva impregnate le fondamenta. Senza alcuna pazienza, sarei stato nient’altro che un cadavere, — aggiunse ironicamente quell’oblungo viso dallo sguardo bicolore che il processo vitale nel fulcro della propria maturità rendeva flaccido e moderatamente grinzoso.
Shogo si lasciò sfuggire un riso caldo, affilato, ossequiosamente fraterno.— Oh, no, sei fortunatamente qui in tutto il tuo vigore! Bene, allora è inutile che io prosegua con questi accorgimenti.
— E’ bene ugualmente che sussultino la mia memoria, — precisò Choe argutamente.
Un fulmine di consenso scaturì dalle iridi aguzze, colme di serpeggianti aspirazioni e imminenti visioni futuristiche di fiamme sollecitanti, riflessive, profondamente mortali.




15 Ottobre 2107 – Ginza, Chuo — Tokyo — Ore 10.47



Un aureo candelabro sorgeva sulle tavole lignee di quell’ambiente cavernoso dalle lontane realtà medievali effondendo il tenue lume di fiaccole dalla natura spenta e di atmosfere cupe e remote. Laterali vetrate lasciavan parzialmente fuggire il flaccido bagliore giornaliero che, riflettendo sulle coriacee pareti, generava un solenne e monastico raggio violaceo. All’interno della struttura, l’irrefrenabile e libera quiete affrontava la franca trascendenza in un pacifico delirio taciturno di scontri tra fulve e verdi iridi e gesti sottintesi. L’armonia, l’esaltazione. La lama, il fucile. Il carisma, il fascino della brutalità.
— Makishima, quale selvaggio desiderio ti spinge ad un tale atto? – proferì il robotico uomo con netta schiettezza, scivolando sull’irresistibile conoscenza del vuoto che pareva strappargli crudelmente gli organi meccanici in una vigorosa furia letale.
— E’ ciò che il mondo desidera in silenzio. Agire all’interno della fabbrica Droni genererà un prestante segnale di paura che gli uomini non saranno capaci di neutralizzare. La loro natura riaffiorerà, ed il disordine verrà in successione. Sarà l’apocalisse,— replicarono le morbidi labbra della cruenta temperanza, le cui parole scorsero fluide tra il sipario di quella folta e lattea chioma dalla purezza delle bianche ceneri.
— L’apocalisse, uh? Ma mi chiedo se il luogo da te scelto possa realmente soddisfare questa tua richiesta.
Toyoshisa Senguuji si apprestava ad un ascolto diligente, minuzioso, traendo dalle parole fluttuanti e dall’ambiente circostante percezioni ultraterrene che il suo corpo cibernetico accoglieva prodigalmente.
— Signor Senguuji, pensa che gli uomini saranno in grado di servirsi di quella felicità indotta di cui hanno sempre usufruito in seguito alla mancanza di Droni che non potrà loro garantire quella consueta e illusoria sicurezza? Proveranno l’orrore, il disorientamento, la paura. Saranno costretti a riflettere sulla propria condizione e a realizzare lo stato della loro esistenza, non crede?
Makishima Shogo, disceso perennemente nella nona bolgia infernale, si disponeva con eloquenza sulle cime utopiche di un’ambizione dagli strappi intellettivi e dai fendenti acuminati. La glacialità di quell’amabile calore, la gioia di quell’affilata inarcatura che il volto puro affacciava disinvoltamente: la raffinatezza di un antica lama. Makishima era una lama.
— Mi rammarica che si debba colpire la produzione dei miei simili, ma ho sempre considerato che il raggiungimento della perfetta intelligenza si possa raggiungere solo tramite la moderata unione di uomo e androide. In questo caso, i Droni non sono nient’altro che effimere intelligenze programmate dall’uomo per un percorso unilaterale, privo di sviluppo per l’umanità, — proseguì il cyborg con accennata sconsolazione eppure con evidente e contrastante assenso.
—L’umanità ha bisogno di ben altro che una sicurezza generatrice di consensi e gioie distorte. Tutto ciò non è altro che la disfatta di uno splendore che l’uomo conserva al proprio interno. Fin quando tutto resterà nel silenzio di un sistema usurpatore, l’uomo continuerà a vivere nella propria piccola cella a sopprimere la propria indole. La bellezza del loro animo sarà capace di rifiorire nuovamente destabilizzando la loro certezza, la loro sicurezza.
— Nonostante io promuova e diriga quest’azienda, non nego che la mia alta posizione sia unicamente un pretesto che mi conceda di raggiungere i miei reali obiettivi, che ovviamente non sono niente di talmente vano! —proferì Senguuji in un caloroso riso conclusivo che di ironico non possedeva nulla. — Trovo che la tua proposta sia intellettualmente appetibile; la preda è appetibile. Infondo noi uomini siamo nient’altro che cacciatori, e la caccia è il nostro più alto piacere! — annuì franco. —Bene, Makishima, come pensi di agire?
— L’aiuto di Choe Gu-Sung sarà fondamentale per l’intrusione. Tutto ciò che ci occorre è l’essere a conoscenza di differenti accessi che possano garantirci dei fluidi spostamenti.
Senguuji attese, chinando lo sguardo al suolo in una silenziosa elaborazione di informazioni.
— La struttura possiede due ingressi principali che sicuramente non saranno utili, ma è bene conoscere gli sbocchi da cui eventuali presenze spiacevoli potrebbero presentarsi. Sulla parte posteriore dell’edificio vi è invece un accesso di cui solo i dirigenti sono a conoscenza. E’ un passaggio poco riconoscibile; alcune lastre non ne consentono la libera veduta. L’entrata richiede però un codice specifico che mensilmente viene sostituito.
— Oh, non risulta affatto essere un problema, signor Senguji. Penso che Choe Gu-Sung sarà in grado di accedervi, è un hacker dalle eccellenti capacità, come lei ben sa, — proferì Shogo con un elegante tono vocale che assottigliatosi conferì a quelle parole un burlesco ed insinuante significato allusivo.
Aspirato, aguzzo, forte.
Fragile.



Takinogawa – Kita-ku – Tokyo – Wakada Industries – Ore 18.23



La grigia cupola astrale s’impregnava della rossastra colorazione crepuscolare che pareva animare la monotonia del silenzio, discostando le nebbie incerte che con dardi di fuoco autentico si dissipavano angosciosamente. I venti sospesi placavano le proprie ire e, fiacchi, cadevano nobilmente sulle polveri elettriche dei vermigli e maliziosi desideri plastificati. Foglie aride incalzavano i caldi colori terminali dell’autunno scagliandoli sulle argentee lamine lucenti che ne riflettevano le colorate macchie della sofferenza. Un’avvenenza criminale si diramava per i cedevoli fusti erbosi di Takinogawa, trascinando con sé i secchi cespugli che si inclinavano a sconosciute presenze. Makishima Shogo e Choe Gu-Sung si lasciavano la biancastra vettura alle spalle, conducendo gli arti aggraziati in quel tortuoso quanto spianato percorso di minacciosa liberazione.
— Possiamo fermarci qui, — pronunziò Choe arrestandosi a pochi metri dall’ampia struttura che si erigeva con schematica irriverenza dinanzi quei visi distesi che l’insidia non turbava. Chinò il corpo al suolo, flettendo risolutamente le ginocchia e rivelando la presenza di un mastodontico cervello elettronico che il presente futuro aveva generato. — Dovrei essere in grado di avviare la procedura anche da questa distanza, l’antenna è vicina alla struttura quanto necessario, — concluse.
— Bene. Quanto pensi ti occorra? — si introdusse il pallido volto dalle pelli levigate che il turbolento inferno delle membra non scalfiva, assumendo la consueta e placida espressione che perpetuamente lo vestiva di purezza. Makishima era puro, sanguinariamente puro.
— Non più di mezz’ora. Il procedimento è delicato, ma non impossibile. Se i frame wireless riescono a colpire velocemente la stazione della struttura, il gioco è fatto.
— Interessante. Non sono incline all’hackeraggio, ma trovo che dietro di esso si celi una conoscenza sorprendente,— rispose Shogo affascinato.
— Richiede anni di attività pericolose e di un’infinita pazienza, non è materia semplice!
Choe riservò a Shogo un caloroso sguardo che parve frantumare il rigido scandire di un tempo illusorio, la rigida tensione di due morbide funi che lo attanagliava ai celi infernali del nono girone.
— Non trovo sia un problema. D’altronde, cos’è che non richiede un sacrificio? — rise Shogo ironico, lasciando che le dita fluttuassero alla libera energia che quel gracile corpo lasciava liberamente fluire.
— Ha ragione, Makishima-san. Lei è un uomo molto perspicace.
— E tu sei un uomo di grande ingegno, Choe Gu-Sung, la cui presenza è occasione di affinamento della propria conoscenza, — proferì annuendo il marmoreo criminale, concedendo allo sguardo il lieve accenno di un fiducioso affidamento.
Choe si lasciò cullare da una grave risata di modestia che lo fece parzialmente contorcere su se stesso originando una smorfia attorcigliata che parve vomitargli sui paonazzi pantaloni ch’egli indossava.
—Non esageri, Makishima-san! — si espresse umilmente. — Uh, ecco… Lo Spoofing IP* è attivo, ci consentirà di non lasciare dati qui e là per la rete. Posso proseguire con l’attacco di deautenticazione.*
Il cervello meccanico sussultò, rivelando la verde luce intermittente di un’azione conclusasi nel totale successo. Choe Gu-Sung proseguì deditamente, assottigliando le sottili palpebre nel consolidamento di attenzione, responsabilità e diligenza.
Le ruvide dita marciavano ossessivamente sui bui tasti del congegno elettronico partorendo un flusso numerico che rapidamente defluiva sulla superficie di quello spesso schermo guerriero.
— Oh, eccellente. Il sistema Sybil sarà davvero capace di neutralizzarci?
Le scarne dita di Shogo afferravano il lembo esterno di quell’indumento ceruleo che nobilmente lo vestiva.
Concepiva la possente stabilità che lo caratterizzava. Stabile e instabile, pieno e vuoto, appaiato e solo.
— Gli daremo filo da torcere. Questa volta riceveranno un dono stupefacente! — si espresse Choe con evidente tono d’esultanza.
— Riceveranno più della semplice distruzione di una pedina gradita. Un’esplosione di uomini impauriti si riverserà nelle loro piazze, inneggiando il libero arbitrio che il sistema ha loro sottratto. Allora saranno in grado di capire.
— Questi uomini apriranno gli occhi, vedrà.
Un segno d’assenso delimitò le carni gelide dagli intestini infuocati, le torbide acque chimiche dalle eruzioni vulcaniche, l’amore avvilente dall’amore incoraggiante. I portoni celati si disserrarono silentemente e ombre d’orrore si riversarono negli occhi atterriti di giovani uomini dai futuri di certezze aree. Makishima Shogo si inoltrò angelicamente nel buio edificio che il caos addomesticava apaticamente, inalando i crudeli sospiri che individui incapaci di fuggire esaltavano in una richiesta di soccorso. I fuochi si posarono al suolo, i lenti passi del tempo divennero pesanti, assordanti, moribondi.
I fulvi occhi oltrepassarono agilmente i delicati e brutali desideri dell’animo, valicando l’ingresso che lo conduceva all’illuminazione, all’irraggiungibile nirvana sospeso nel limbo.
I seminatori di discordia fuggirono nell’ombra.
La fiamma corrose, vinse, uccise.
Un istante.
Un fulmine.
La scintilla della camelia purpurea.
La liberazione.





choen



Note:
"Non ci sarà mai una rivoluzione...": Citazione Evgenij Zamjatin (Noi)
Spoofing IP: tecnica di hackeraggio che consente di nascondere la propria provenienza.
Attacco di deautenticazione: tecnica di hackeraggio che invia particolari frame wireless per deautenticare la stazione attaccata.



Edited by KuchikiRukia ~ - 25/4/2013, 10:32
 
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-Kurosaki-Ichigo-
view post Posted on 25/4/2013, 09:31




Sai già come la penso, fantastica! >_>
 
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1 replies since 25/4/2013, 09:28   14 views
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